L'area sacra di Sant'Omobono

febbraio 28, 2020

Cantavano i Morcheeba: “Don’t you know that Rome wasn’t built in a day” e avevano ragione. Al di là del fatto che anche il buon Romolo, tra avvistamento degli uccelli, lite con il fratello per decidere chi ne avesse visti di più, realizzazione del solco, nuova lite con il fratello che aveva scavalcato il sacro limite, conclusasi con l’uccisione di quest’ultimo, fine della realizzazione del tracciato, istituzione dell’Asilo, rito della fossa di fondazione, rapimento delle donne, guerra e successiva alleanza con i Sabini, un po’ di tempo ci impiegò. Bisogna infatti considerare che il primitivo nucleo urbano, cui noi diamo il nome di Roma, non sorse dal nulla. Fu un lento processo, del quale non conosciamo se non le lente tappe, quello che i Romani immaginarono culminare nella fatidica data del 21 aprile 753 a.C. indicata da Varrone e scelta poi come ufficiale tra molte altre. 




Anche sull'origine del nome le versioni sono molteplici: da “Rhome” inteso come “forza, vigore”, quella dei Pelasgi che le avrebbero dato questo nome appena giunti nel Lazio, al nome della donna troiana, Roma, che diede fuoco alle navi per interrompere il girovagare dei profughi; oppure Roma, la troiana che sposò Latino, figlio di Telemaco. Ma Roma era anche il nome della figlia di Italo e Leucaria, o la nipote di Ercole, che fu moglie di Enea per alcuni, per altri quella del figlio Ascanio. Per altri ancora Roma non era da mettere in relazione con Rome, ma con Romanus, un figlio di Circe e Ulisse; oppure Romo, figlio del re d’Etiopia, o ancora Romi, un potente re latino. Poi sì, i più dicevano da Romolo, ma Romolo chi? Il figlio di Enea e Dessitea, fratello di Romo? O il figlio di un’esule troiana di nome Roma che, una volta giunta sul litorale laziale, avrebbe sposato il re Latino (figlio di Telemaco) dando poi alla luce un bambino di nome Romolo, il quale avrebbe fondato una città a cui diede il nome della madre? Tante, tantissime ipotesi, ma forse l’origine sarebbe etrusca, dalla parola ruma, mammella, o dal latino ruo (precipitare, scorrere) e dal suo fiume che un tempo si sarebbe chiamato Rumon.


Insomma, vige una certa confusione sul tema. I miti e le paretimologie però, a saperli ascoltare, hanno sempre qualcosa da raccontarci e possiamo anche noi credere che il buon Tevere sia stato in fondo il primo padre della città. Il suo approdo, ai piedi del Palatino, accolse benevolo le navi di mercanti fenici e greci, vide sfilare pasciute mandrie dai pascoli al mare e ritorno, assistette placido al sorgere del primo emporio e delle prime capanne sulle cime dei colli. Di fronte all'Anagrafe, ai piedi della chiesa di Sant'Omobono, sono state rinvenute le tracce storiche di questo vivace brulicare di popoli della media età del bronzo (XIV-XIII a.C.). Sono piccoli frammenti certo, a vederli insignificanti, ma che ci ricordano come ogni giorno ci troviamo a passeggiare inconsapevoli sopra trentacinque secoli di storia. 


Ci raccontano di popoli che attraversavano il Mediterraneo e risalivano il Tevere per portare le loro merci nel cuore della Penisola. In basso l’emporio e in alto, sui colli, le prime capanne (sul Palatino si possono ancora osservare le tracce lasciate dai pali lignei sul banco di tufo). Nell’VIII secolo a. C. poi, con un preciso atto politico-sacrale, del quale i ventennali scavi di Andrea Carandini avrebbero identificato nell'area del Foro e delle pendici del Palatino le tangibili tracce, nacque infine Roma. Questa piccola area archeologica, che conserva i resti dei una ricca sequenza stratigrafica, ci racconta però anche di un altro momento fondamentale della storia di Roma: il passaggio dalla monarchia alla Res Publica. Qui i resti più antichi attribuibili ad una capanna dell’VIII sec. a.C. sono sostituiti nel VII a.C. da un’area di culto con altari (presso la quale è stato rinvenuto un frammento ceramico riportante l’iscrizione etrusca più antica rinvenuta a Roma). Agli inizi del VI sec. a.C. vengono edificati due templi: da quello ubicato sotto la chiesa di Sant'Omobono proviene la ricca decorazione conservata ai Musei Capitolini, nelle teche accanto al grande basamento del tempio capitolino, cui appartiene il celeberrimo gruppo acroteriale raffigurante Atena che introduce Eracle nell'Olimpo. 


Si tratterebbe forse del santuario edificato dal re Servio Tullio, il re-servo, figlio di una schiava e di una scintilla del focolare, per legittimare il suo potere. Potere donatogli in seguito all'assassinio di Tarquinio Prisco, da Tanaquil-Fortuna. Alla fine del secolo, epoca tradizionale della cacciata dei re, il tempio viene volontariamente distrutto, segno che tale divina investitura è ormai rifiutata e, solo dopo un secolo di abbandono, l’area è interessata da nuovi lavori edilizi. Il piano di calpestio viene rialzato e si ha la ricostruzione dei due templi gemelli dedicati a Fortuna e Mater Matuta, dei quali oggi potete osservare gli scarsi resti. Se vi trovate a passeggiare da quelle parti fermatevi a guardare questi bassi muretti (quelli del tempio della Fortuna, perché la cella del tempio di Mater Matuta è stata riutilizzata come chiesa a partire dal V secolo d.C., prima con il nome di S. Salvatore in Portico, poi dal Cinquecento con quello di Sant'Omobono, protettore dei sarti) e riflette su come, anche dei lacerti murari apparentemente cosi anonimi e insignificanti, se lasciati parlare, ci raccontino di momenti così importanti per la storia della nostra città.







(Flavia Callisti - La storia di Roma in 100 luoghi memorabili)



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