La Casa di Fiammetta

febbraio 08, 2020


Una piazza intitolata a una prostituta è già di per sé un fatto insolito. Una piazza intitolata a una prostituta nella città dei papi, però, è quasi incredibile. Una piazza intitolata a una prostituta nella città dei papi e che si trova lungo la via percorsa da milioni di devoti pellegrini per raggiungere il Vaticano è addirittura paradossale. Il caso di Fiammetta, la titolare della piazza in questione, rappresenta un’eccezione, ma d’altra parte lei non fu una prostituta qualunque. Innanzi tutto, era una cortigiana e pure onesta. All’epoca, siamo alla fine del Quattrocento, erano definite “cortigiane oneste” le prostitute d’alto bordo, quelle che non esercitavano la professione vendendo il proprio corpo acquattate nei vicoli bui o tra i fornici degli acquedotti, tra pericoli e miseria, ma nelle stanze del potere o meglio nelle stanze dei potenti. La loro onorabilità era direttamente proporzionale a quella dei clienti. Queste meretrici di classe A erano donne di una certa cultura, animatrici di eventi culturali e mondani, che si muovevano tra circoli viziosi e circoli intellettuali. Istruite e intelligenti, seducenti ed eleganti, facevano perdere la testa a signori, cardinali e perfino a qualche papa, come Vannozza Cattanei, amante en titre di papa Alessandro VI Borgia, nonché madre dei suoi quattro figli. 


Poco sappiamo della vita di Fiammetta Michaelis, ma quel poco è sufficiente a ricostruirne la brillante carriera. Fiorentina di nascita, era arrivata nella Città Eterna a soli tredici anni, accompagnata dalla madre, Santa, anch’essa prostituta. A neanche quindici anni Fiammetta aveva già fatto fortuna, fortuna che derivò principalmente dall’aver conquistato il cuore del cardinale Jacopo Ammannati Piccolomini, fine e colto umanista. Alla sua morte, nel 1479, l’uomo l’aveva inserita nel testamento lasciandole come fruttuosa buonuscita una vigna con casino fuori città, presso la porta Viridaria, lungo le mura Vaticane, due case a via dei Coronari, una sull’attuale via di San Simone e l’altra al civico 157 (un ottimo investimento, trattandosi della strada più richiesta dell’epoca) e il delizioso palazzetto con loggia tra via degli Acquasparta e l’attuale piazza Fiammetta, sempre a due passi, ma proprio due, da via dei Coronari. Fiammetta si era sistemata, aveva le spalle ben coperte. Forse troppo per essere pur sempre una meretrice, anche se onesta. L’affare era scandaloso e papa Sisto IV intervenne facendo bloccare il testamento. Fu costituita un’apposita commissione che con qualche acrobazia legale si cavò dall’imbarazzo risolvendo la situazione così: alla “damigella di singolare beltà” (la bellezza sembra essere una giustificazione al lascito, nel senso che se fosse stata brutta non sarebbe stato ammissibile) veniva permesso di entrare in possesso dell’eredità, non in virtù dei servigi resi al cardinale, no no, ma “per amore di Dio e per provvederla di una dote”. 


In sostanza, trasformando il lascito in dote, le facevano la carità, una ricchissima elemosina consistente in ben quattro proprietà immobiliari. Fiammetta fu molto accorta nella gestione del suo patrimonio, inteso come proprietà e come corpo. Dopo l’esordio come amante del cardinale, passò tra le braccia del figlio di papa Alessandro VI Borgia, quel Cesare Borgia, detto il Valentino, noto come uno degli uomini più potenti, tracotanti e violenti del Rinascimento, nonché figlio di quella Vannozza a sua volta cortigiana d’alto, altissimo bordo, dotata di notevoli doti imprenditoriali. Secondo i pettegolezzi dell’epoca, sembra che Cesare Borgia preferisse farle visita alla vigna, più che nella centrale via dei Coronari, rigorosamente di notte, armato di spada e di mantello, pronto a difendersi da eventuali aggressori e occhi indiscreti. La relazione tra i due è accreditata dall’intestazione che compare sul testamento di Fiammetta, in cui la donna si dichiara Ducis Valentini, ossia del Duca Valentino. 


Dallo stesso testamento, redatto nel 1512, probabile anno della morte, conosciamo altri dettagli della vita di Fiammetta, affascinante all’epoca e ancora più affascinante oggi per noi, che ne inseguiamo il ricordo, nel tentativo di saperne qualcosa in più sulla condizione femminile nella Roma rinascimentale. Nel documento, pieno di clausole e cavilli, il notaio, tale Andrea Carusi, chiama Fiammetta mulier honesta e non meretrix honesta, come se per merito si fosse guadagnata il diritto di essere considerata una signora, sempre cortigiana per carità, ma una signora cortigiana, una donna capace di esercitare un fascino che andava ben al di là della sola, indiscutibile, bellezza: era colta, seducente, aveva classe, era in grado di soddisfare gli amanti, non solo sotto le lenzuola, quello più o meno lo sanno fare tutte, ma di intrattenerli, coinvolgerli, appassionarli con discorsi stimolanti e intelligenti. Siamo nel Rinascimento e anche il sesso ha una sfumatura colta. Alla morte Fiammetta lasciò tutto, immobili a via dei Coronari e proprietà fuori porta, al fratello Andrea, dietro la cui identità si nascondeva molto probabilmente un figlio segreto, che proprio grazie allo stratagemma del “finto fratello” poté ereditare. Nel testamento, però, Fiammetta volle inserire alcune clausole: alla morte dell’erede diretto, tutte le proprietà sarebbero passate ad alcune confraternite religiose e Andrea avrebbe ereditato tutto a patto che affittasse le proprietà immobiliari corrispondendo una parte del denaro proveniente dalla rendita alle chiese di Santa Maria della Pace e di Sant’Agostino, affinché fossero celebrate messe in suffragio della sua anima. Non sappiamo quanto fosse credente Fiammetta, sappiamo però che frequentava assiduamente, come altre cortigiane oneste, la chiesa di Sant’Agostino, a pochi passi dalla sua casa di via degli Acquasparta.


E qui alcune di loro ebbero anche il privilegio di poter essere sepolte. Sembra che anche Fiammetta sia riuscita a comprare il patronato di una cappella che fece decorare a sue spese perché accogliesse la propria sepoltura. Ne abbiamo testimonianza da Pietro Aretino che racconta di aver visto cappella e tomba. Oggi, però, della sepoltura di Fiammetta, probabilmente rimossa successivamente, non c’è traccia. Tornando alla piazza a lei intitolata nel Seicento, andiamo ad ammirare quell’elegante palazzetto con il piccolo porticato, l’altana e il seducente balconcino, capace di stuzzicare le fantasie più romantiche. 


Eppure questo insolito angolo del centro, tra piazza Navona e Castel Sant’Angelo, non ci parla di una storia romantica, quanto della condizione e del potere di alcune donne del Rinascimento, imprenditrici di se stese, lavoratrici instancabili, promotrici culturali e contribuenti solerti, che in alcuni casi riuscirono ad accumulare patrimoni pari a quelli dei signori di cui erano amanti, libere anche se schiave di una società, che per accettarle ufficialmente doveva definirle oneste. E se non è strano che una di esse abbia ereditato un delizioso palazzetto, in una delle zone più in della Roma rinascimentale, è certo strana l’idea di una piazza intitolata a una prostituta. O forse no, forse è un atto dovuto e meritato, considerando che ai clienti di chissà quante prostitute, d’alto bordo o di basso rango, sono dedicate vie, piazze e viali. Questa è democrazia toponomastica. 


(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)
(M. Silvia Di Battista - Roma curiosa vol. 2)

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2 commenti

  1. Risposte
    1. più o meno (scusa per l'imperdonabile ritardo nella risposta, mi era sfuggito il tuo commento, del quale ti ringrazio molto) tanti auguri per il nuovo anno in arrivo!

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