Il tempio alla suocera!

aprile 18, 2020


C’è un imperatore che ho sempre trovato assai affascinante: Adriano. Non, come si potrebbe credere, per il suo estro artistico (secondo i più avrebbe concepito egli stesso il progetto di buona parte della sua meravigliosa villa di Tivoli), né per le sue doti di filosofo e poeta, ma per l’assoluta discrepanza tra la nostra percezione della sua figura e quella dei suoi contemporanei. Se vi dicessi di dirmi il nome di tre bravi imperatori, è assai probabile che Adriano comparirebbe nella terzina. Se avessi modo di chiederlo a un antico romano, il suo nome non solo non entrerebbe nella classifica, ma probabilmente non passerebbe neanche per l’anticamera del cervello. Tanto noi ammiriamo questo imperatore amante del bello (in tutte le sue forme, comprese quelle del bell'Antinoo, suo amante fanciullo), tanto i Romani detestavano quel permaloso "grecuzzo" effeminato. Il giudizio, per lo più negativo fornito dalle fonti antiche, sarebbe da accreditare, secondo una recente monografia dedicata all'imperatore da Yves Roman, all’”inveterata abitudine dei Romani a giudicare chi governa la città”. A suo dire, i cittadini dell’Urbe avrebbero “sempre avuto la lingua affilata”, con l’unica precauzione “di parlare di quelli che governavano la città quando erano morti, più che quando erano vivi”. Prova provata del risentimento dei contemporanei è data dal fatto che, mentre per il suo predecessore Traiano si arrivò a contravvenire alla legge delle XII tavole, che prevedeva che nessuno potesse essere sepolto all'interno del pomerio (dove invece fu eretta la colonna-tomba dell’Optimus princeps, che dunque veniva trattato con gli onori dovuti a un eroe), per Adriano il Senato voleva opporsi anche solo alla concessione, ormai divenuta di routine, della divinizzazione. Il povero Antonino, suo successore, dovette battersi a lungo perché Adriano la ricevesse e per questo fu detto Pio. Il perché è presto detto: lo Pseudo-Aurelio Vittore nella sua Epitome (XIV,6) fornisce un esauriente quadro del carattere dell’imperatore: incostante, complicato, multiforme, eccessivo nei vizi quanto nelle virtù, cercava di celare la sua indole gelosa, aspra, licenziosa e orgogliosa, per non dire permalosa (come ebbe a provare sulla sua pelle Apollodoro di Damasco); era letteralmente divorato dalla bramosia di gloria. Se a questo aggiungiamo quanto scritto da Cassio Dione sulla sua ambizione, l’implacabile invidia – anche nei confronti dei morti! – sul suo eccessivo puntiglio, la curiosità, la malizia, ecco che iniziamo a intravedere una certa discrepanza con l’idea romantica che abbiamo mutuato dalle Memorie di Adriano della Yourcenar (donna dall'avvincente biografia, da leggere!). Certo si parla anche di diligenza e munificenza, di una grande intelligenza e del suo estro artistico, che evidentemente però non pesavano, sulla bilancia del giudizio, quanto i suoi eccessi. In primo luogo, il suo essere un "greculo", un "grecuzzo", troppo smaccatamente amante di modelli di vita ellenistici, che lo portavano ad apprezzare eccessivamente la caccia e soprattutto i ragazzi. Questo era tra i principali problemi: non le pratiche omosessuali, che a Roma da tempo si praticavano e si cantavano nei convivi, ma l’ostentazione di un amore da donnicciola verso quello che era poco più di un bambino: Antinoo.


A questo aspetto si univano poi ragione politiche, come ad esempio la decisione di abbandonare le conquiste di Traiano e la scelta infelice fatta da neo imperatore, di mandare a morte quattro consolari, arbitrio che il Senato non gli perdonò mai. Non ultime, infine, le solite dicerie complottistiche, che arrivarono a sospettare un intrigo di corte in cui Plotina, moglie di Traiano, avrebbe facilitato la dipartita del consorte per agevolare l’ascesa al trono di Adriano, di cui si diceva fosse infatuata. Si vociferava addirittura che fosse stata lei stessa a firmare, quando l’imperatore era già morto, la lettera che decretava il suo successore. La diceria era alimentata dal fatto che Traiano non lo aveva mai particolarmente amato, nonostante il legame parentale tra i due (il nonno di Adriano aveva sposato una zia materna dell’imperatore), rafforzatosi quando Traiano, nel 90 d.C., era diventato suo tutore, allorché Adriano era rimasto orfano di padre. Le cose non migliorarono neanche quando Adriano sposò Vibia Sabina, figlia di Matidia, figlia a sua volta della sorella di Traiano. Indubbiamente Adriano manifestò attaccamento a Plotina, per la cui morte tenne pubblicamente il lutto e per la quale promosse solenni celebrazioni funebri (ancora più eccezionali se si pensa che invece non ne fece alcuna per la morte della sorella). Un’altra donna ricevette, però, da lui onori ancor più eccezionali, soprattutto se si pensa che quella donna era … la suocera! Eh sì, Adriano è l’unico uomo al mondo che amò così tanto la suocera da farne una dea (o forse era così felice che fosse morta da dedicare un tempio all'evento?). Il suo tempio si trovava nei pressi di piazza Capranica, come provato da una fistula rinvenuta presso la chiesa di Sant'Ignazio con su scritto “Templo Matidiae”. Un paio di colonne in cipollino appartenenti all'edificio si trovano inglobate nella parete del civico 76, mentre un tronco di un’altra colonna è in vicolo della Spada di Orlando.


Proprio a tale frammento si deve il nome della stradina. Si credeva, infatti, che la frattura presente su tale colonna fosse stata provocata dalla leggendaria Durlindana, appartenuta al paladino del re Carlo Magno: una versione affermava che egli, durante l’imboscata di Roncisvalle, avrebbe cercato di rompere la preziosa arma, per non farla cadere in mani nemiche, scagliandola contro la colonna, giunta poi qui, chissà come; mentre una versione autoctona ritiene che, durante un’aggressione avvenuta proprio nel vicolo, Orlando si salvò mulinando fendenti e fratturando così la colonna.


Il suo fusto ha un diametro notevole (1,70 m) che farebbe presupporre per essa un’altezza di ca. 17 m. una moneta coeva mostra l’edificio, affiancato da due avancorpi e da altrettanti portici, in cui identificare le basiliche di Matidia e Marciana (madre di Matidia e sorella di Traiano, insomma delle donne che garantivano ad Adriano, attraverso la moglie Sabina, il legame con il suo predecessore). Le due basiliche dovrebbero trovarsi rispettivamente sotto la chiesa di Santa Maria in Aquiro e sotto i palazzi che impostano su via dei Pastini.


Alla morte dell’imperatore fu realizzato, a completamento dei due bracci formati dalle basiliche, il tempio del Divo Adriano, del quale ancora si possono ammirare: una porzione del podio in peperino, dell’architrave (in parte restaurato) e 11 colonne in marmo corinzio (alte 15 m e dunque più piccole di quelle della suocera) appartenenti al lato destro dell’edificio (quello posto a est) in piazza di Pietra.


Vi basterà scrutare la facciata della Camera di Commercio, all'interno della quale si possono ammirare anche resti della cella, decorata con rilievi raffiguranti le personificazioni delle Province romane (ora in parte esposti nel cortile del Palazzo dei Conservatori e nel Museo Nazionale Archeologico di Napoli).


Insomma, genero e suocera uno vicino all'altra, anche nella topografia urbana. Tale idillio appare ancora più bizzarro se si pensa ai rapporti intercorsi tra Adriano e la moglie Vibia Sabina, la figlia di Matidia. Ecco, sembra che lei non l’amasse proprio. La Yourcenar arriva a sintetizzare così i sentimenti dell’imperatore: “A poco a poco, erano cessati fra noi i riguardi, le convenienze, le fragili velleità di intesa, lasciando a nudo l’antipatia, l’astio, il rancore e, da parte sua, l’odio”; altrove lui la definisce “sposa frigida e dura”. Le fonti antiche del resto la dipingono come capricciosa e intrattabile e alcune adombrano la possibilità che la sua morte, nel 137 d.C., non sia affatto dispiaciuta al marito, che forse l’avrebbe anche propiziata. Il sentimento doveva essere reciproco, se è vero che lei non volle avere figli da un tale consorte, per non rendere più infelice il mondo. E poi lo abbiamo detto, Adriano non aveva occhi che per il fascinoso giovinetto della Bitinia. Quando si incontrarono, Adriano aveva passato i cinquanta e Antinoo era un adolescente. La loro passione (o almeno quella dell’imperatore) fu breve ma intensa, troncata dalla morte in circostanze mai chiarite del giovane, durante un viaggio sul Nilo. Le eccessive manifestazioni di cordoglio dell’imperatore furono ritenute decisamente inappropriate. Subito il giovane venne divinizzato e assimilato a Osiride e il suo corpo fu imbalsamato e mummificato. Nel luogo della morte venne edificata una città, che da lui avrebbe preso il nome di Antinopoli. Che a essere divinizzato non fosse più l’imperatore o un membro eminente della sua famiglia, ma addirittura il suo amante e senza il consenso del Senato, era davvero troppo! Non si sa dove il corpo fu deposto; c’è chi sostiene, in base all'iscrizione presente su un obelisco, che fu portato nella sfarzosa dimora dell’imperatore a Tivoli. L’obelisco in questione è quello posto da Pio VII sul Pincio, dove si possono leggere il resoconto delle sue esequie e i versi dedicati al suo culto.


La bellezza del giovane Antinoo fu riprodotta in almeno duemila ritratti: non vi è praticamente museo archeologico in possesso di reperti romani che non annoveri tra questi un busto di Antinoo. Il dolore provato per aver perso la luce di quel volto credo possa spiegare il pianto di un imperatore, il quale, ormai vecchio, così parlava alla sua anima in attesa della sospirata morte: “Animula vagula, blandula…

“Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a ascendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. 
Un istante ancora guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non rivedremo mai più… Cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti…”



(Flavia Callisti - Alla scoperta dei segreti perduti di Roma)

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2 commenti

  1. In quel piccolo (e brutto) vicolo c'è anche una fontana "semipubblica" il cui disegno è attribuito a Michelangelo. Questo per dire come nell'Urbe basta guardarsi attorno per scoprire Mirabilia

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    1. Scusa il ritardo con cui ti rispondo, mi era sfuggito il tuo commento del quale ti ringrazio moltissimo. E' vero c'è una piccola fontanella all'inizio del vicolo... non sapevo anche questa fosse attribuita a Michelangelo. Sapevo che lo fosse, invece, quella in via Lata, cosiddetta "del Facchino". Roma non finisce mai di stupire! Ogni sasso ha la sua storia da raccontare! ciao, continua a seguirmi e tantissimi auguri per il nuovo anno in arrivo!

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