14° ITINERARIO - RIONE VIII S. EUSTACHIO (SECONDA PARTE)

febbraio 09, 2024

Totale percorso km. 2 circa questa la mappa
Panorama dall'alto del rione S. Eustachio con la magnifica cupola di Sant'Ivo alla Sapienza
Per la seconda parte del nostro itinerario alla scoperta del rione S. Eustachio, partiamo dalla piazza omonima, già descritta nella prima parte, così cogliamo l’occasione per gustarci un altro buon caffè. Ora prendiamo la via a destra, guardando la chiesa, Via di Sant'Eustachio. È piuttosto uno slargo, occupato al centro da un parcheggio per le macchine, con la facciata laterale della chiesa ricoperta dall'edera e addossate alla quale sono state posizionate due colonne monolitiche di granito appartenenti alle antiche Terme Neroniane o Alessandrine.

Le Colonne delle Terme Neroniane 
Queste terme furono edificate da Nerone (54-68 d.C.) e riedificate poi da Alessandro Severo ed occupavano l’area compresa tra le attuali via delle Coppelle, piazza del Pantheon, Salita dei Crescenzi, corso Rinascimento. Costituiscono l’esempio più antico di “Grandi terme”, quelle cioè organizzate secondo la disposizione simmetrica delle aule minori rispetto al corpo centrale, costituito da tepidarium, caldarium e frigidarium. Purtroppo, oltre a queste due colonne, di queste terme restano solo le altre due colonne, utilizzate nel pronao del Pantheon, nel 1666, a sostituzione di due colonne mancanti, la colonna di granito rosa che fu collocata, nel 1896, davanti alla Breccia di Porta Pia e alcuni avanzi, che si trovano al di sotto di Palazzo Madama, palazzo Giustiniani e palazzo Mazzetti di Pietralata, che avremo modo di vedere più avanti. Dalla parte opposta alle colonne si trova il palazzo Melchiorri Aldobrandini, dal nome dei due proprietari a cui appartenne: monsignor Girolamo Melchiorri che lo fece edificare nella seconda metà del Cinquecento e Camillo Aldobrandini che lo acquistò nel 1866, ma pochi anni dopo, nel 1873, divenne proprietà comunale ed ora è sede di una scuola elementare. Il bel portale presenta protomi leonine e pulvini decorati con bastone orizzontale, stemma dei Melchiorri. In cima alla via giro a sinistra sulla Salita dei Crescenzi, costeggio la facciata laterale di palazzo Giustiniani e arrivo in via della Dogana Vecchia, dove apre il meraviglioso portale di Francesco Borromini.

Portale Palazzo Melchiorri Aldobrandini e Portale Palazzo Giustiniani 

La costruzione risale alla seconda metà del Cinquecento, ad opera probabilmente dei Fratelli Fontana, per il monsignor Pietro Vento che, nel 1590, lo vendette ai Giustiniani, una potente famiglia di Genova. Per l’ampliamento del palazzo si seguì un progetto di Francesco Borromini, anche se i lavori terminarono dieci anni dopo la morte dell’architetto. Attualmente il palazzo è sede della Presidenza del Senato e al suo interno, in una sala detta per l’appunto della Costituzione, il 27 dicembre 1947 fu firmata la Costituzione della Repubblica Italiana. La facciata presenta finestre architravate al primo piano, riquadrate al secondo e incorniciate al terzo; il cornicione è decorato con i simboli araldici relativi ai vari proprietari che si sono susseguiti: ci sono aquile, gigli, torri e leoni. Il portale, come già detto, è del Borromini, ad arco fra due colonne e sormontato da un balcone. Poco più avanti, dalla parte opposta, troviamo la facciata della chiesa di San Luigi dei Francesi, chiesa della comunità francese iniziata nel 1518 e terminata nel 1589 da Domenico Fontana su progetto di Giacomo Della Porta.

Chiesa di San Luigi dei Francesi - Facciata e interno
Già dalla facciata si percepisce l’esaltazione della nazione francese con le statue di Carlo Magno, San Luigi, Santa Clotilde e San Giovanni di Volois. Indubbiamente la fama della chiesa è dovuta alla cappella Contarelli e al suo contenuto: tre capolavori del Caravaggio e cioè il Martirio di San Matteo, la vocazione di San Matteo e San Matteo e l’angelo.

La Cappella Contarelli
La prima tela realizzata è il Martirio di San Matteo dove il Santo, circondato da una folla inorridita, fra cui, forse, anche un autoritratto dello stesso Caravaggio, è sopraffatto da un soldato etiope, che vuole impedirgli l’opera di proselitismo; da una nuvola un angelo gli porge la palma, simbolo del martirio.

Caravaggio - Il Martirio di San Matteo

La Vocazione di Matteo rappresenta la chiamata di Gesù, accompagnato da san Pietro e dal fascio di luce “divina” che indica Matteo, esattore delle tasse, intento a contare i soldi, che abbandonerà tutto per seguirlo. E straordinario il realismo di questa scena, rappresentata come un momento di vita reale, in un ambiente che poteva essere una taverna nella Roma di quel periodo.

Caravaggio - La Vocazione di Matteo
 
San Matteo e l’angelo rappresentò per il Caravaggio una delusione, perché il suo primo lavoro, fu rifiutato, per l’eccessivo realismo. San Matteo era rappresentato in modo indegno: come un anziano semianalfabeta che scriveva sotto la dettatura dell’angelo, con i piedi grossi e callosi che sporgevano verso lo spettatore. Purtroppo, quest’opera è andata perduta a Berlino, durante la Seconda Guerra Mondiale. Nella seconda versione del dipinto, Matteo è rappresentato sempre nell'atto di comporre il suo Vangelo, con l'angelo che fornisce dei suggerimenti, ma molto più decoroso, se non fosse che lo sgabello su cui poggia il Santo, a guardarlo bene, ha perso l’appoggio con la sua parte anteriore e il Santo sembra sul punto di precipitare: forse, una piccola rivincita del geniale artista.

Caravaggio - San Matteo e l'Angelo
Il nome della cappella deriva dal cardinale Mathieu Cointrel, in italiano Contarelli, colui che commissionò le opere al Caravaggio. La notorietà di queste opere, però, non deve mettere in secondo piano altri importanti capolavori che la chiesa possiede, spesso ignorati, invece, dai turisti. Nella navata di destra, la seconda cappella è affrescata con le Storie di Santa Cecilia del Domenichino, mentre sull'altare si trova una copia, di Guido Reni, della Santa Cecilia di Raffaello.

ai lati: Domenichino - Storie di Santa Cecilia    -   al centro: Guido Reni - Santa Cecilia (copia della Santa Cecilia di Raffaello)
Infine, uno sguardo al meraviglioso soffitto e, voltandosi per uscire, la solita grande sorpresa dell’organo a canne, in questo caso, un vero gioiello, costruito da Joseph Merklin nel 1881.

Chiesa San Luigi dei Francesi - Soffitto e Organo
Di fronte alla Chiesa vi sono due palazzi cinquecenteschi. Il primo è il cosiddetto Palazzo degli Stabilimenti Spagnoli, perché destinato ad accogliere i pellegrini spagnoli a Roma, ora proprietà del Senato della Repubblica Italiana; il secondo, invece è Palazzo Patrizi, che passato di proprietà da Alfonsina Orsini ad Olimpia Aldobrandini che lo ampliò nel 1605, fu infine venduto ai Patrizi, la cui ultima discendente sposò Giovanni Chigi Montoro, che acquisì anche il cognome dei Patrizi. La figlia Porzia sposò il marchese Tommaso Naro, i cui discendenti, Patrizi Naro Montoro, sono gli attuali proprietari dell’edificio. Belli i particolari della facciata, soprattutto le finestre al primo piano con timpano triangolare e centinato alternato, sovrastate da festoni di frutta e nastri, mentre quelle del secondo sono architravate e quelle del terzo riquadrate. Prendo la via che costeggia quest’ultimo palazzo, via Giustiniani e passeggiando lentamente la percorro fino alla fine, osservando sempre con molta attenzione ogni particolare, ogni dettaglio, come quel castello sull'architrave di due finestre inferriate, sull'ultimo palazzo a destra prima di arrivare in piazza della Rotonda.

Via Giustiniani - Particolare su una finestra e Piazza della Rotonda
La piazza del Pantheon appartiene al rione Sant'Eustachio solo per la parte fino alla fontana compresa, mentre il monumento vero e proprio appartiene al rione Pigna, avremo quindi modo di parlarne nel prossimo itinerario e in questo caso svolto, quindi, subito a sinistra, imboccando via della Rosetta. Alla fine, arrivo in piazza della Maddalena, confine con il rione Colonna e svolto a sinistra in via del Pozzo delle Cornacchie per arrivare in Piazza Rondanini. La piazza prende il nome dal palazzo che il cardinale inglese Thomas Wolsey fece costruire nel primo Cinquecento, ma non riuscì mai ad abitarvi morendo prima, in Inghilterra. Uno dei primi proprietari fu Tiberio Crispo, altro cardinale, molto vicino ai Farnese, per essere figlio della donna che, dopo la morte del marito e padre di Tiberio, divenne la concubina di papa Paolo III. Fu lui a commissionare i meravigliosi affreschi, che tutt'ora decorano la sala grande del palazzo e rappresentano scene di vita di Paolo III e della famiglia Farnese. Purtroppo, non ho potuto vederli, essendo privati, ma mi ritengo fortunata per essere stata invitata, mentre curiosavo dal portone, da una signora che stava entrando e mi ha permesso di salire fino al primo piano a vedere gli affreschi, anche se questi un po’ rovinati, del soffitto, dai quali si vede perfettamente lo stemma dei Farnese.

Piazza Rondanini - Il Palazzo (quello a sinistra) e il particolare del soffitto affrescato
Il palazzo ebbe poi vari proprietari dai Boncompagni agli Aldobrandini. La cosa però, secondo me, straordinaria, perché amo questo tipo di strutture, si trova nel palazzo di fronte, Palazzo Mazzetti di Pietralata, dove una parete nel cortile interno è costituita da un possente muro semicircolare appartenente alle Terme Neroniane, di cui ad inizio itinerario abbiamo già ammirato le due colonne superstiti.

Interno cortile Palazzo Mazzetti di Pietralata con la parete appartenente alle Terme Neroniane
Una targa sul muro testimonia l’appartenenza del muro alle terme, sottolineando che i vani delle porte e finestre sono, invece, moderni.

Targa sul muro delle Terme Neronian
Dalla piazza inizio una lenta passeggiata in questa parte del rione che è di un fascino unico. Proseguendo in via del Pozzo delle Cornacchie, attraversando Largo Giuseppe Toniolo, mi trovo all'incrocio con la Piazza di San Luigi dei Francesi e l’inizio di via della Scrofa, direzione che prendo, svoltando a destra. Di fronte si apre il maestoso Palazzo del Collegio Germanico Ungarico, così chiamato dall'unione fra il Collegio Germanico, fondato nel 1552 da S. Ignazio di Loyola e quello Ungarico, fondato nel 1580 da papa Gregorio XIII. Il complesso, successivamente, venne demolito e ricostruito e collegato tramite un arco al palazzo dell’Apollinare. Dopo lo scioglimento della Compagnia di Gesù, divenne sede del Vicariato. Ora è sede della Casa Internazionale del Clero e del Pontificio Istituto di Musica Sacra. La mia irrefrenabile curiosità mi spinge ad attraversare il bellissimo portale e affacciarmi al cortile dove è situata una meravigliosa fontana ad edicola del tardo ‘600, composta da una grande vasca in marmo, nella quale ricade l’acqua che due tritoni versano attraverso due buccine.

Fontana cortile interno Palazzo del Collegio Germanico Ungarico
Gli stessi sostengono una tazza semicircolare in cui versa acqua, invece, un drago ad ali spiegate, emblema di papa Gregorio XIII. Fa da sfondo alla fontana, di stile berniniano, un meraviglioso paesaggio affrescato, con piante, alberi e cielo azzurro.

Particolare fontana nel cortile del Palazzo del Collegio Germanico Ungarico
Subito dopo svolto di nuovo a destra, imboccando via delle Coppelle, dal nome dei venditori di quei contenitori di legno, chiamati per l’appunto “coppelle”, dalla capacità di circa 5 litri, che venivano utilizzati per vendere l’acqua acetosa, vino o aceto. Qui non si può non notare il meraviglioso portale al numero civico 35. È Palazzo Baldassini, una delle prime opere di architettura civile eseguite a Roma da Antonio da Sangallo il Giovane e considerato un gioiello del primo Cinquecento.

Portale Palazzo Baldassini
Anche qui posso accedere al cortiletto interno, delizioso, con un portico a tre arcate sormontato da una bella loggia con balconata. Fra i due piani corre un fregio dorico di imitazione classica; fra le tante figure di oggetti liturgici alternati allo stemma dei Baldassini, c’è anche quella di un elefante.

Palazzo Baldassini - La loggia e il particolare del fregio con l'elefante Annone
È il famoso Annone, l’elefante che il re del Portogallo regalò a papa Leone X nel 1513, che divenne una grande celebrità fra il popolo romano, che andava continuamente a visitarlo in Vaticano. Purtroppo, l’elefante mal sopportò il clima umido della città e solo dopo tre anni morì con grande dispiacere di tutti. Sembra che fu addirittura sepolto in Vaticano. Oggi il palazzo è sede dell’Istituto Luigi Sturzo.

Palazzo Baldassini - Cortile interno
Continuo la mia passeggiata, sempre molto attenta ai particolari, come quel bel portale ad arco a tutto sesto del civico 16, risalente al Cinquecento e sormontato dalla scritta “COSMUS CASTANEUS” e scopro che qui abitò, quando era cardinale, Giovanni Battista Castagna, che divenne papa con il nome di Urbano VII, ma il suo pontificato durò solo 12 giorni dal 15 al 27 novembre del 1590, perché tre giorni dopo essere stato eletto, si ammalò di malaria che lo portò alla morte. Arrivo in piazza delle Coppelle, articolata in modo strano, una specie di U stilizzata, che circonda la chiesetta medievale di San Salvatore delle Coppelle, con un lato, che sembra più una via che una piazza, a costeggiare la parete laterale della chiesa e due slarghi: uno di fronte all'entrata della chiesa

Chiesa di San Salvatore delle Coppelle e campanile romanico
e l’altro, quello più suggestivo, nella parte retrostante, dove si svolge da anni un piccolo mercato ortofrutticolo, che dà alla zona quell'aspetto di “Roma sparita” ormai così raro da trovare in città.

Piazza delle Coppelle
Circa l’origine della Chiesa, la leggenda vuole che sia stata costruita sulla casa di S. Abbasia, una nobildonna romana e la sua prima edificazione risale, probabilmente alla fine del XI secolo, epoca della quale rimane solo il piccolo campanile romanico. Fu ricostruita, nel 1750, in occasione dell’Anno Santo, su progetto di Carlo De Dominicis. Particolari curiosi sono le due lapidi che vediamo poste sulla parete laterale della chiesa. La prima e più recente, datata 1750, è una specie di buca delle lettere, dove gli albergatori erano tenuti a denunciare, tempestivamente,  eventuali malattie contratte dai loro ospiti, durante il periodo di soggiorno, forse per evitare epidemie, ma anche “per visitare gli infermi nelle camere locande, nelle osterie e negli alberghi, ove sogliono capitar forestieri di ogni nazione, per dare ad essi tutti gli aiuti necessari tanto rispetto al corpo che all'anima, e per prendere cura delle robbe loro in caso che fossero passati a miglior vita" e veniva punito severamente chi non rispettava tale disposizione. La seconda, invece, datata 1195, rappresenta la più antica iscrizione pubblica a Roma in lingua volgare e recita: “Chi(es)a del S.mo Salvatore della Pietra al(it)er delle cuppelle 1195”.

Le due lapidi sulla parete laterale della Chiesa di San Salvatore alle Coppelle
Dalla piazza prendo via degli Spagnoli, altra viuzza caratteristica di questo rione, che forma un angolo retto e proprio al vertice di questo angolo si trova un ristorante, con una tettoia naturale di edera che crea un ambiente molto suggestivo. Arrivo in via della Stelletta, mi guardo un po’ intorno e noto sul palazzo che fa angolo con la via appena percorsa, due strane finestre, sembrerebbero rinascimentali, che nulla hanno a che vedere con il resto della facciata, ma non riesco ad avere notizie.

Via della Stelletta - Le "strane" finestre sul palazzo
Torno leggermente indietro, sempre su via della Stelletta, arrivando nuovamente in via della Scrofa. Prima di attraversarla e andare verso via dei Portoghesi, giro a sinistra, per andare a fare una foto a colei che, in realtà, non dà il nome alla strada, pur essendo l’animale omonimo.

Bassorilievo della Scrofa e la sua fontanella spostata all'angolo di via dei Portoghesi
In realtà il nome deriva, come spesso accade, dall'insegna di una locanda esistente fin dal Quattrocento, come risulta da alcuni documenti del 1445, che attestano che questa zona già da allora era denominata “la Scrofa”. Il soggetto della mia foto, invece, è molto probabilmente un frammento di un antico bassorilievo marmoreo, che qui venne murato e trasformato in fontanella per volere di papa Gregorio XIII, almeno un secolo dopo! Dopo l’Unità d’Italia, l’edificio divenne il Ministero della Marina del Regno d’Italia e per questioni di traffico, la fontanella fu spostata all'angolo con via dei Portoghesi, mentre la scrofa rimase là, sulla parete, con una targa sottostante, a spiegare la sua presenza in quel luogo.  Fatta la mia foto mi dirigo proprio in via dei Portoghesi e fotografo, ovviamente, anche la fontanella rimasta orfana della sua decorazione. Sono praticamente sul confine di ben tre rioni: alla mia destra è Campo Marzio, di fronte sempre sul lato destro è Ponte, che comprende la Torre della Scimmia, (già descritta durante la passeggiata in quel rione) e tutto il lato destro di via dei Pianellari, che vado a percorrere, concentrandomi però sul suo lato sinistro, che è quello appartenente a Sant'Eustachio, lato dove, dopo poco, trovo piazza Sant’Agostino, piccolo slargo dominato dalla meravigliosa basilica omonima.

Chiesa di Sant'Agostino - La facciata
Salgo la scalinata che precede l’entrata e ammiro la bella facciata, che ricorda quella di Santa Maria del Popolo: due fra i più begli esempi di Chiese Rinascimentali a Roma. Nell’ordine inferiore apre un grande portale sovrastato da un timpano triangolare, al centro del quale è scolpito lo stemma del cardinale d'Estouteville; ai lati, due portali più piccoli, sovrastati da due finestre tonde. Sopra al timpano del portale centrale un affresco raffigura la “Consegna della Regola Agostiniana”. Per sapere da chi fu fatta costruire, basta leggere la scritta che separa i due ordini inferiore e superiore e che, tradotta, recita: “Guglielmo di Estouteville vescovo di Ostia, cardinale di Rouen, camerlengo di Santa Romana Chiesa, fece nel 1483”. Per questa facciata, fu utilizzato il travertino proveniente dal Colosseo. La chiesa originaria venne edificata a cavallo fra il XIV e XV secolo e ultimata intorno al 1420 dall'ordine degli agostiniani. Quando la chiesa e il convento divennero troppo piccoli per le loro esigenze e soprattutto anche a causa dei continui allagamenti, a seguito delle numerose piene del Tevere, la chiesa fu riedificata tra il 1479 e il 1483, grazie alla generosità del Cardinale Guillaume d’Estouteville, innalzandola dal piano stradale con la bella scalinata che sto salendo. Una curiosità riguarda la sua cupola: fu la prima realizzata in una chiesa a Roma.

Chiesa di Sant'Agostino - Interno
L’interno venne rimodellato da Luigi Vanvitelli durante la meta del Settecento ed è a croce latina, suddiviso in tre navate, con cinque cappelle a lato, transetto e un’abside anche questo affiancato da altre due cappelle per lato.  Appena entrata in chiesa, c’è solo l’imbarazzo della scelta su dove dirigersi: è piena di capolavori e opere d’arte. Essendo entrata dal portale laterale sulla destra inizio quindi lentamente dalla celebre Madonna del Parto, che trovo subito a sinistra sulla parete di fondo, accanto al grande portale centrale. L’autore è Jacopo Tatti detto il Sansovino, (allievo ma non parente dell’Andrea Sansovino che troveremo, sempre in questa chiesa, in un’altra opera eccellente) e, secondo la tradizione, si dice sia stata realizzata adattando un’antica statua romana di Agrippina con il figlio Nerone in braccio.

La Madonna del Parto
È la Madonna venerata dalle partorienti e lo si evince chiaramente dagli innumerevoli fiocchi rosa e celesti appesi ad un lato e dalla scritta che corre lungo l’architrave che recita “VIRGO GLORIA TUA PARTUS” (O Vergine il parto è la tua gloria). Proseguendo sul lato sinistro della navata centrale, inizio dalla prima cappella, la Cappella Cavalletti, dove si trova una delle opere più famose custodite nella chiesa: la “Madonna di Loreto” del Caravaggio, nota anche come la “Madonna dei Pellegrini”.  Il quadro suscitò molto clamore, si disse, in quanto venne utilizzata come modella tale Maddalena Antognetti, detta Lena, una cortigiana d’alto bordo e probabile amante del Caravaggio stesso, per la quale il pittore aggredì il notaio Mariano Pasqualone, cosa che lo costrinse prima a chiedere asilo, per qualche tempo, proprio nella chiesa di S.Agostino e poi a fuggire a Genova. Ma probabilmente a destare più stupore furono gli “umili pellegrini”, raffigurati con la pelle rugosa, vestiti di stracci ed i piedi piagati e sudici per il faticoso viaggio, nonché la cuffia della donna, sporca e rovinata che andava contro i canoni non solo dell'arte del tempo, ma anche, e specialmente, di quelli derivanti dal Concilio di Trento. Non si era mai raffigurata una immagine della Madonna di Loreto in modo tanto naturale; l’iconografia classica la vedeva sempre con il bambino, in trono dentro un’edicola o seduta sul tetto della Santa Casa, con gli angeli che la sorreggono e portano in volo verso Loreto. Invece Caravaggio rappresenta una Madonna appoggiata allo stipo della porta della Santa Casa, che non vola, è ben piantata a terra, povera e di mattoni, anche se con una pregiata soglia di marmo; forse era come doveva apparire nel 1500, prima di essere totalmente rivestita di marmo.

La Cappella Cavalletti con quadro di Caravaggio noto come "La Madonna dei Pellegrini"
Segue la cappella Pio, del Bernini; quella di S. Chiara, con la pala d’altare di Sebastiano Conca; di S. Apollonia e di San Giovanni di San Facondo.

Cappella Pio del Bernini e Cappella di Santa Chiara con pala d'altare di Sebastiano Conca
Arrivo all'altare maggiore, progettato nel 1627 dal Bernini, dove, circondata da eleganti colonne, si trova un’icona bizantina che raffigura “la Vergine con Bambino”, proveniente dalla chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Anche i due angeli in alto sono di probabile fattura berniniana.

Altare maggiore
Accanto all'altare, a destra, si trova la Cappella di San Nicola da Tolentino,

Altare e Soffitto della Cappella di San Nicola da Tolentino
mentre a sinistra la Cappella di Santa Monica, madre di Sant'Agostino, dove sono custodite le sue ceneri in un’urna verde, posta sotto l’altare, mentre al centro della parete sinistra si trova il sarcofago in cui la santa venne sepolta ad Ostia, dove morì nel 387. Venne poi trasportata nel 1430 nella chiesa di S. Trifone ed infine, per volere di Luigi Vanvitelli, nel 1750 fu portata in questa chiesa. La parte centrale del sarcofago è originale, mentre la parte superiore fu scolpita nel 1455 da Isaia da Pisa.

Cappella di Santa Monica e Sarcofago
Nel transetto altre due cappelle: a destra, la Cappella di Sant'Agostino con un’opera notevole del Guercino che raffigura “Sant'Agostino tra s. Giovanni Battista e San Paolo Eremita” come pala d’altare, mentre ai lati due opere del Lanfranco: a sinistra “S. Agostino lava i piedi al Redentore” e a destra “Sant’Agostino sconfigge le eresie”; a sinistra, invece, la Cappella di San Tommaso da Villanova, ricca di marmi pregiati.

La Cappella di Sant'Agostino e la Cappella di San Tommaso da Villanova
Accanto a questa si trova anche la cappella dedicata ai Santi Agostino e Guglielmo, uno dei capolavori di Lanfranco: entrando a sinistra vediamo “S.Guglielmo curato dalla Vergine”, di fronte “S.Agostino medita sulla Santa Trinità” e sull'altare “l'Incoronazione della Vergine con i Santi Agostino e Guglielmo”; l'affresco nella lunetta mostra gli "Apostoli intorno alla tomba vuota della Vergine”, mentre sulla volta “l'Assunzione della Vergine”. Per quanto riguarda la navata destra, tornando verso l’uscita, troviamo la quinta cappella, quella del Crocefisso, che si ritiene fosse quello davanti al quale si recasse a pregare San Filippo Neri; la quarta è quella dedicata a San Pietro; la terza dedicata a Santa Rita, opera di un allievo del Bernini, Giovanni Contini con sopra l’altare l’Estasi di Santa Rita di Giacinto Brandi; la seconda di San Giuseppe e la prima dedicata a Santa Caterina.

Cappella del Crocefisso e Cappella di Santa Rita
Nella navata centrale sul terzo pilastro di sinistra vi è un affresco di Raffaello, che raffigura il Profeta Isaia con a fianco due putti che reggono una scritta dedicatoria in greco: “a S. Anna, madre della Vergine, madre di Dio, a Cristo il Salvatore”, mentre il profeta mostra un cartiglio con la scritta in ebraico: “aprite le porte onde il popolo che crede entri”.

Affresco di Raffaello raffigurante il Profeta Isaia
L’affresco è collegato al sottostante gruppo scultoreo di “Sant'Anna che riunisce in un unico abbraccio la Vergine Maria ed il Bambino” di Andrea Sansovino, maestro, come abbiamo detto prima, dello Jacopo Tatti della Madonna del Parto.

Gruppo scultoreo di Andrea Sansovino e veduta intera del pilastro con affresco e scultura
La chiesa ospita oltre alla tomba già citata della madre di Sant'Agostino, Santa Monica, anche altre tombe di defunti illustri, quali il poeta umanista Maffeo Vegio da Lodi, Contessina de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico e i cardinali Egidio da Viterbo e Girolamo Verallo. Una curiosità riguarda questa chiesa: era l’unica che ammettesse alle cortigiane di assistere alla messa. A loro erano riservati i primi banchi sia per metterle al riparo dalla vista del popolo, che per evitare facili distrazioni tra i fedeli, che se fossero state dietro, si sarebbero continuamente voltati per guardarle. Alcune di loro, addirittura, trovarono anche sepoltura nella chiesa, diversamente dalle prostitute di basso ceto, che invece venivano sepolte a Muro Torto. I nomi più famosi sono quelli di Fiammetta Michaelis, l’amante di Cesare Borgia, Giulia Campana, la famosa Tullia d’Aragona e la sorella Penelope. Le loro tombe ora sono tutte scomparse. Adiacente alla chiesa si trova la Biblioteca Angelica, un luogo suggestivo, dove spesso mi reco per andare a cercare molte delle notizie e curiosità che poi vengo a raccontare qui nel blog.

Il salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica
È considerata una delle primissime biblioteche “pubbliche”, cioè un’istituzione creata con l’intento di fornire accesso ai libri ad una comunità di lettori quanto più ampia possibile, cosa che, considerando il periodo, 1604, era cosa assolutamente all'avanguardia. Il salone Vanvitelliano, luogo di lettura contiene 100 mila volumi degli oltre 200 mila presenti all'interno della struttura. Dalla piazzetta mi dirigo verso Corso Rinascimento, che percorro fino ad arrivare di fronte alla maestosa facciata di Palazzo Madama.

Palazzo Madama
La storia del palazzo è legata alla famiglia de’ Medici. Il cardinale Giovanni de’ Medici, prese in affitto il palazzetto costruito verso la fine del Quattrocento dal vescovo di Chiusi. Nei primi del Cinquecento, il cardinale acquistò a rate l’edificio, ma si indebitò a tal punto che fu poi costretto a venderlo alla cognata Alfonsini Orsini, vedova di Piero de’ Medici, la quale, dopo averlo fatto ristrutturare ed ingrandire, alla sua morte, alcuni anni dopo, lo lasciò in eredità a quel cognato che glielo aveva venduto e che nel frattempo era divenuto papa con il nome di Leone X.  Questi, a sua volta, lo lasciò in eredità al cugino Giulio, anche lui diventato papa con il nome di Clemente VII. Il nome lo deve a Madama Margarita, figlia naturale di Carlo V, la quale, appena undicenne, venne a Roma per rendere omaggio al papa, prima di diventare la sposa del duca Alessandro de’ Medici (pronipote o, per alcuni, figlio del papa). Dopo pochi anni, rimasta vedova, tornò nel palazzo come usufruttuaria, sposa, stavolta, di Ottavio Farnese, nipote di Paolo III e in breve si conquistò la simpatia e l’affetto del popolo che iniziò a chiamarla “Madama”. Non vi sarà sfuggita di certo quella pelle di leone sopra il portone del Palazzo.

Particolare della pelle di leone scolpita sul portale di Palazzo Madama
Non è solo un ornamento, come non lo sono tutte le altre decorazioni che si trovano sulla facciata. Raccontano la storia della genealogia della famiglia Medici, che si vantava di discendere proprio dal mitico Ercole. Si racconta che l’eroe fu per tre anni schiavo della regina Onfale, in Lidia e che avesse con lei generato cinque figli, tra cui Tirreno, da cui sarebbe poi nata la stirpe dei Medici. Vediamo allora il leone, simbolo di Ercole, nella citata pelle sopra il portone, poi lo troviamo, ancora, mansueto, come compagno di giochi dei puttini, tra le finestre in alto. Infine, ai lati delle finestre del primo piano, in modo alternato, ci sono una figura di uomo con la pelle di leone e una figura di donna con le lunghe trecce: sono proprio Ercole e la regina Onfale.

Palazzo Madama - particolare delle decorazioni dell'ultimo piano 
Nel corso degli anni, prima di divenire sede del Senato, vi furono installati, fra l'altro, gli uffici del tribunale e la sede della polizia. Da tale ultima destinazione del palazzo, trae origine il termine dialettale "La madama", talvolta usato a Roma, ancora oggi, per definire le forze dell'ordine. Qualche passo ancora e giro nella via degli Stadeari, per ammirare la graziosa fontanella “dei libri” che fa parte della serie di fontanelle rionali commissionate all'architetto Pietro Lombardi nel 1927 dal Comune di Roma. Ognuna di esse ripropone alcuni simboli di antichi rioni o di mestieri. In questo caso la fontanella con i quattro libri antichi, disposti due per lato, simboleggia l’antica presenza dell’Università la Sapienza, che qui fu istituita.

Fontanella rionale "dei Libri" di Pietro Lombardi
Anche l’acqua fuoriesce da cannelle a forma di segnalibri. L’unico errore è rappresentato dal riferimento numerico del rione Sant'Eustachio; infatti, al centro della fontana oltre al nome del rione è inciso anche il numero, ma è indicato come il IV rione anziché l’VIII. Poco più avanti un’altra fontana, di tutt'altra stazza questa volta: è un’ampia vasca di epoca imperiale romana, originariamente un monolito di granito egizio di Assuan, che venne ritrovata durante gli scavi all'interno del cortile tra i palazzi Madama e Carpegna, appartenente al complesso delle “Terme Neroniane”. Fu necessario un lungo lavoro di restauro, in quanto venne ritrovata rotta in otto pezzi, dal peso di diverse tonnellate ognuno. Il peso complessivo è di circa 25 tonnellate, con un diametro di m. 5,30 ed è posta su un basamento realizzato ex-novo in un blocco di marmo di Carrara. Una lapide ricorda la donazione della vasca alla cittadinanza da parte del Senato, in occasione del 40° anniversario della Carta Costituzionale, nel 1987.

La Fontana di Piazza Sant'Eustachio
Torno indietro su Corso Rinascimento per affacciarmi subito dopo in quel meraviglioso cortile del Palazzo della Sapienza, sede dell’antica Università di Roma e cornice fantastica alla straordinaria chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza. Qui ebbe inizio la storia dell’Università, nel 1303, quando Bonifacio VIII fondò lo Studium Urbis. Fino al pontificato di Leone X l'archiginnasio non ebbe cappella, servendosi della vicina chiesa di S. Eustachio. Fu questo papa, figlio di Lorenzo de’ Medici, agli inizi del Cinquecento, a dotare l’Università di una cappella e due cortili. Inoltre, chiamò dall'Europa i migliori studiosi, che contribuirono notevolmente ad accrescere il prestigio dell’Università. La primitiva cappella era dedicata ai Ss. Leone papa e Fortunato martire e vi si celebrava la messa tutti i giorni di scuola. Il Palazzo occupa il grande isolato fra le vie dei Sediari, del Teatro Valle, degli Stadeari, di piazza S. Eustachio e Corso Rinascimento. Al centro della facciata che prospetta su Corso Rinascimento, sopra la finestra posta sopra il portale, una targa reca una scritta da cui deriva il nome assegnato all’Università: “INITIUM SAPIENTIAE TIMOR DOMINI” ossia “L’inizio della Sapienza è il timor di Dio”.


Dal portale entro nel magnifico cortile porticato: due ordini di nove arcate più due architravate sui lati lunghi, cinque arcate sul lato breve alle mie spalle e cinque arcate anche nell'altro lato breve, che si presenta concavo, ma chiuse con finestre e nell'arcata centrale l’ingresso della chiesa. La primitiva cappella voluta da Leone X fu demolita da Gregorio XIII e si utilizzò come chiesa la vicina S. Giacomo degli Spagnoli. Alla fine del Cinquecento, però fu fatta richiesta di ripristinare una cappella e finalmente il collegio degli avvocati concistoriali si prese l’impegno di fare edificare una nuova cappella all'interno dell’archiginnasio, dando l’incarico a Francesco Borromini che la iniziò nel 1642, sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini e la portò a termine nel 1660 sotto Alessandro VII Chigi.

Cortile dell'antica Università La Sapienza (oggi Archivio di Stato) e la meravigliosa chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza (foto Carlo Pezzi)
La difficoltà principale era lo spazio ridotto che aveva a disposizione che lo portò a puntare più all'altezza che alla grandezza, sviluppando l’intero progetto verso l’alto. Sulla facciata già esistente, il Borromini aggiunse l’attico con l’originalissima cupola polilobata coperta dalla calotta gradinata, da cui si innalza la lanterna e, tra fiaccole di travertino, la famosissima chiocciola, decorata a stucchi, che termina in una fiamma sormontata da una tiara in ferro battuto, dal globo e dalla croce. Questa di Sant'Ivo è, a mio avviso, una delle più belle cupole di Roma; visibile e riconoscibile immediatamente da qualsiasi panorama dall'alto sulla città e nessun’altra, per quanto più grande e maestosa, la può superare in eleganza ed originalità. L’ape, come emblema araldico dei Barberini, è presente ovunque, fin dalla pianta stessa della chiesa, che rappresenta il corpo dell’insetto, mentre la spirale della lanterna costituisce il suo puntiglione.

Interno cupola di Sant'Ivo alla Sapienza (foto Fabiana Ciarlantini)
La chiesa fu dedicata a S. Ivo in quanto patrono degli avvocati, coloro che ne avevano patrocinato la costruzione. Dal centro del cortile, guardandoci intorno, si vedono ovunque simboli araldici: i draghi dei Boncompagni, le api dei Barberini, le aquile dei Borghese e le stelle e cime dei Chigi. Per quanto riguarda le altre facciate del Palazzo, da segnalare i due bei portali del Borromini sulla facciata che prospetta su via del Teatro Valle e su quella in piazza S. Eustachio e la fontana dei Libri, precedentemente descritta, addossata alla parete in via degli Stadeari. Quando nel 1935 vennero ultimati i lavori della nuova Città Universitaria, qui fu istituito l’Archivio di Stato di Roma, che conserva tutti i documenti relativi la città per l’intero arco della vita dello Stato Pontificio dal IX secolo fino all'Unità d’Italia. Con questa visita si conclude il nostro itinerario, girando l’angolo siamo di nuovo in Piazza Sant'Eustachio e, se non siamo troppo nervosi, o se non l’abbiamo preso all'inizio, possiamo goderci un altro buon caffè.



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