La Tenuta Massara

aprile 18, 2021


Ho abitato per oltre venti anni ad Ottavia, periferia nord di Roma, e quando da adolescenti volevamo fare una passeggiata all’aria aperta, incontrare gli amici, passare qualche ora spensierata, il posto ideale era quello che chiamavamo “al Castello”. La strada si interrompeva all’altezza di quella che credo fosse una cisterna dell’acqua ed io non avevo proprio idea di cosa fosse in realtà “il Castello”, non sapevo neanche che esistesse davvero, per me quel luogo era solo uno sfogo, dopo giornate di scuola, compiti e sport.


Ora, dopo una trentina di anni di lontananza da quella zona, è bastata una foto, vista su Instagram, per riportare alla memoria antichi ricordi ed ho voluto indagare di più su quel luogo della mia adolescenza. Quello che chiamavamo “il Castello” era la Tenuta Massara, fattoria-modello a poche centinaia di metri dall’Ospedale San Filippo Neri.


La via per raggiungerla è rimasta la stessa, solo che ora fino alla cisterna si può arrivare con la macchina e parcheggiare. Poi a piedi, con una passeggiata di circa 15 minuti si arriva al viale alberato che immette nella grande proprietà.


Siamo all’interno del Parco Agricolo di Casal del Marmo, nome che per lo storico Antonio Nibby è da ricollegare alla grande quantità di marmi e reperti di epoca romana che sono stati ritrovati nell’area, marmi e reperti che è ancora possibile vedere nel grande portale che dava accesso alla proprietà o anche, come decorazione, in molti edifici della stessa.


Purtroppo, oggi questo maestoso portale, invece di affacciare su strada, si trova del tutto decontestualizzato, isolato dalla ferrovia che gli passa davanti. Quando i treni erano ancora a vapore, un passaggio a livello ne permetteva il collegamento con la via Trionfale.


Da qui, un duplice filare di pini conduce all’interno della tenuta. Ma è proprietà privata, e dobbiamo accontentarci di ammirarla solo da fuori. Un tempo proprietà della Chiesa, all’inizio del Novecento fu acquistata dai Massara, famiglia di origine calabrese, che su quei terreni costruirono alloggi per il fattore e i braccianti, le stalle per il bestiame e le scuderie per i cavalli, le rimesse per le macchine agricole e le enormi tettoie per la conservazione del fieno.


Venne allestita perfino una scuola pluriclasse destinata ai figli dei contadini e, infine, una grande villa padronale, quella che veniva chiamata “il Castello”. Edificata su resti di antiche strutture di origine romana e medioevale, viene decorata essa stessa con i marmi trovati sul luogo.


Ovunque si evince la grande cura dei particolari: colonne, capitelli, cancelli arabescati; pareti lungo le quali furono incastonati bassorilievi in gesso raffiguranti buoi che tirano l’aratro o braccianti che mietono il grano; scuderie sul cui ingresso, sempre in gesso, sono poste teste di cavallo. Le terre furono messe a coltura intensiva e gli allevamenti producevano latte e carni in abbondanza. In breve, la tenuta che ospitava una ventina di famiglie e oltre i 300 capi di bestiame, diventa un modello di efficienza e produttività che vengono premiate, nel 1926, con un riconoscimento speciale da parte del regime.


La grande tenuta resistette alla guerra, ma resta operativa fino al 1974, poi inizia il lento ma inarrestabile declino. Si continua a lavorare ancora per un po’ la terra, ma gli edifici piano piano vengono abbandonati, compreso “il Castello”. 


Nonostante il passare del tempo, gli edifici danneggiati, i tetti pericolanti, le grandi macchine agricole abbandonate, la proprietà Massara conserva intatto tutto il suo fascino, segno di quanta importanza si volle dare a quel tempo all’estetica, di quanto la bellezza fine a sé stessa fosse importante. 


La questione della “fattoria modello di Mussolini” viene portata alla ribalta anche dagli autori di “Sacro Romano GRA”, progetto che contempla, oltre al libro, anche un film, un sito web, una mostra e che ha come scopo il recupero e rilancio funzionale di aree dismesse.


La loro descrizione della tenuta recita così: “tutto ricorda la cena delle beffe, con i muri merlati, le torrette tonde, le bifore, l’intonaco che mima la pietra. È il finto Rinascimento fiorentino…” e amaramente conclude: “La favola Coppedè in mezzo ai campi, sta marcendo come una scenografia di Cinecittà sotto la pioggia”.




(SacroGRA.it)
(Vignaclarablog.it)
(LuigiPlos.it)

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4 commenti

  1. Bellissime foto! Complimenti per l'interessante blog.

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  2. Grazie, mi sono sempre chiesta cosa fosse quel bellissimo edificio. Purtroppo con altre strutture ammirevoli della città eterna é lasciata all' incuria senza un perché!

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